28 febbraio 2010

28 Febbraio

Le tengo stretta la mano mentre guardiamo le prime luci dell'alba colorare i palazzi e le strade davanti a noi. Perseveranza e dedizione ci hanno portati qui, questa mattina, nell'unica radura del boschetto che si estende su una collinetta nel centro nevralgico della nostra città. Appena sotto di noi corre viale 28 Febbraio. Il nostro sguardo si posa sul monumentale Parlamento e sulle gradinate montate stanotte. Oggi è il 28 Febbraio. Fra non molto inizierà la parata. Si festeggiano i 99 anni dalla presa del potere dell'attuale sistema di governo che ha dato stabilità economica, sicurezza e servizi efficienti a questo paese.
Perseveranza, dedizione e un'idea folle che ci è venuta una domenica di qualche mese fa, era ancora estate, mentre eravamo seduti in questa stessa radura a goderci il panorama davanti a noi. Non sono l'idee folli che fanno la differenza tra una persona normale e un folle. La differenza è che il folle decide lucidamente di metterle in pratica. E noi siamo due folli che si tengono per mano in un paese di persone normali.
Sapevamo fin dall'inizio che la cosa più difficile sarebbe stata entrare con un mezzo capiente abbastanza, dove siamo adesso, in un giorno come questo. Non che in un altro giorno sarebbe stato possibile, ma i controlli nel giorno dell'anniversario sono sempre stati più massicci. Sapevamo che l'unico modo per entrare inosservati sarebbe stato avere il diritto ad entrare. Per questo tenevamo gli occhi sui bandi pubblicati dal comune per eventuali posti di lavoro. E per nostra grande fortuna, l'occasione capitò qualche mese dopo, in autunno inoltrato, quando uscì un bando per manutentore degli spazi verdi. In pratica un lavoro da netturbino nei giardini della città.
Ci presentammo entrambi al concorso, per avere il doppio delle possibilità di successo. Non avevamo molte speranze di riuscirci per un semplice motivo. Entrambi eravamo troppo qualificiati per un lavoro del genere. Avremmo nascosto il fatto di avere una laurea, ma nel caso in cui avessero fatto controlli, ci avrebbero scoperto e la bugia sarebbe apparsa molto sospetta. Non solo non avremmo ottenuto il posto, ma la cosa ci avrebbe procurato sicuramente delle grane con il Comitato di Sicurezza Pubblica. Ma, contrariamente alle aspettative, mi assunsero. E tutto sembrò filare estremamente liscio.
Il lavoro era duro, soprattutto in inverno con il freddo, la pioggia e la neve. Soprattutto per me che ero abituato a lavori di ufficio. Ma la possibilità di realizzare la nostra idea avrebbe reso leggero il più pesante dei lavori. Lei nel frattempo continuava con il suo lavoro abituale e nel frattempo iniziò ad acquistare quelli che sarebbero stati i protagonisti della nostra messa in scena. Acquistandoli a "piccole dosi" e in posti diversi, anche in città diverse, per non dare nell'occhio. In modo che nessuno si facesse domande.
Un'altra cosa che fu molto più semplice di quanto pensassimo, fu farmi assegnare al bosco dove volevamo andare, esattamente il 28 Febbraio. Semplice perchè nei giorni di festa c'era sempre penuria di lavoratori e il 28 Febbraio era il giorno di festa per antonomasia. La mossa decisiva fu chiedere all'addetto alla racolta dei rifiuti nel Parco della Tranquillità, così si chiamava il bosco sulla collinetta, di sostituirmi uno dei suoi giorni liberi in cui finsi di essere impossibilitato a lavorare. Ovviamente dietro la promessa che avrei restituito il favore. Fu entusiasta di sapere che gli avrei restituito il favore in un giorno come oggi.
Stanotte l'abbiamo passata in bianco, per preparare a mettere in pratica la nostra idea. Gli ultimi preparativi non che richiedevano molto più che soffiare. Probabilmente non avremmo chiuso occhio lo stesso per l'eccitazione. Poi alle quattro di mattina, in bicicletta, attraverso strade praticamente deserte, con il freddo pungente che mi colpiva la faccia, sono andato a lavoro. Lì c'era il furgoncino dei rifiuti ancora vuoto che mi aspettava e alla sua guida ho percorso la strada inversa per tornare a casa. Non erano ancora le cinque e la città dormiva ancora. Nessuno mi ha notato entrare nel nostro garage con il furgoncino. E nessuno ci ha notato mentre lo riempivamo.
Ovviamente solo io ero autorizzato ad entrare quindi l'ultimo accorgimento è stato nascondere lei alla vista del guardiano del parco. Abbiamo fatto alcune prove e la cosa migliore era che si nascondesse sotto la plancia davanti al sedile del passeggero. Il buio ci ha aiutato. Passati i cancelli il parco era tutto per noi. Oggi l'ingresso è interdetto al pubblico per via della parata.
Ecco come siamo arrivati qui, stamattina, a guardare l'alba tenendoci per mano, mentre aspettiamo che la gente affluisca sulle gradinate e la parata inizi. Questa ultima attesa sembra lunghissima. Molto più dei mesi che sono passati da quando abbiamo deciso di dedicarci alla nostra idea. Posizioniamo il furgoncino in modo che non possa essere visto dal viale sottostante. Ci muoviamo nervosamente. Controlliamo di nuovo il furgoncino. Ci metiamo a sedere, ma non riusciamo a stare fermi. Poi, finalmente, iniziamo a vedere la gente arrivare per la parata e capiamo che l'attesa sta per finire.
Gli ultimi minuti volano via, ormai le gradinate sono gremite di gente e la parata sta per passare per il viale. E' il momento che stavamo aspettando. Faccio manovra con il furgoncino in modo che abbia la parte posteriore che dà verso il viale e quando vediamo la banda spuntare dalla curva apriamo il portellone. La nostra idea prende il volo. E l'effetto è spettacolare, proprio come lo avevamo immaginato. La parata si ferma. Il pubblico ammutolisce e rimane a naso in su a guardare novantanove palloncini rossi che volano nel cielo azzurro sopra le loro teste. Noi ci abbracciamo e restiamo abbracciati per un tempo che sembra infinito. Non siamo mai stati più felici. Sappiamo che stanno venendo a prenderci e non abbiamo via di fuga, ma non c'importa, perchè la fantasia e il colore hanno preso il sopravvento per la prima volta in novantanove anni sulla disciplina e il grigiore.





o se preferite


25 febbraio 2010

Il contrario di postumo

Praticamente tutti quelli che finiscono su questo blog per sbaglio, cercando qualcosa con google, lo fanno perchè vogliono sapere il contrario di postumo.
Il punto è che non esiste. Per quello finiscono qui. Cioè, finiscono qui perchè ho scritto questo e perchè non esiste un contrario di postumo.
Però il concetto esiste. Postumo vuol dire che avviene dopo la morte dell'interessato. Il contrario non deve esprimere semplicemente qualcosa che avvenga prima della morte dell'interessato. Troppo facile. Il concetto è che questa cosa avviene e poi l'interessato muore. Ovviamente questa cosa che avviene non può essere: piantare un coltello nel cuore dell'interessato. Perchè in questo caso la parola esiste di già ed è omicidio.
Il concetto è: scrivi un post che ha qualcosa a che vedere con Salinger e lui dopo qualche giorno muore. La cosa non deve necessariamente riguardare Salinger e non deve essere necessariamente un post, mi sembra chiaro. O forse no. Comunque, non esiste una parola per esprimere questo concetto. E' ora di inventarla.

Da oggi antumo è il contrario di postumo. 
Avvisate l'Accademia della Crusca.


22 febbraio 2010

Frankenstein Ramones

 

Ho preso alcune canzoni dei Ramones, le ho fatte a pezzi e poi le ho ricucite insieme un po' alla buona. 
Ne è venuta fuori una breve storia che parla di un tizio che è a giro per conto suo in una notte di luna piena. Come un brivido, lo attraversa il pensiero della ragazza di cui è innamorato: vorrebbe rivederla il più presto possibile, ma quando l'ha vista oggi è fuggito da lei a gambe levate. Questa situazione lo fa sentire come se fosse sotto acido; è sconvolto. Il suo cervello è sottosopra, tanto che lui non si sente più quello di una volta, quando era uno studente da 10. Dovrebbe prendere un dottorato, ma senza cervello è dura e poi ne ha abbastanza di quel lavoro.



Il testo:
(credits to The Ramones et alii)

The moon is full, the air is still,
All of a sudden I feel a chill

Hanging out all by myself
Cause I don't want to be with anybody else
I just want to be with you
I just want to have something to do
Tonight

Have I ever told you
How good it feels to hold you
It isn't easy to explain
And though I'm really tryin'
I think I may start cryin'
My heart can't wait an other day

Why can't stop, and tell myself I'm wrong, I'm wrong, so wrong
Why can't I stand up, and tell myself I'm strong
Because, I saw her today, I saw her face
It was the face I love, and I knew
I had to run away
And get down on my knees and pray

It feels like somebody put something
Somebody put something in my drink
Blurred vision and dirty thoughts
Feel out of place, very distraught

My brain is hanging upside down
I need something to slow me down

I used to be an A student
I never used to complain
I used to be a truant
But I'm still the same
Bad bad brain

Now I guess I'll have to tell 'em
That I got no cerebellum
Gonna get my Ph.D.

I'm sick to death
I'm a nervous wreck
This business is killing me

Well I can't take it no more
No, I can't take it no more

Le canzoni fatte a pezzi:
Pet sematary
I just want to have something to do
Baby, I love you
Needles and pins
Somebody put something in my drink
My brain is hangin upside down (Bonzo goes to Bitburg)
Bad brain
Teenage lobotomy
This business is killing me

21 febbraio 2010

Libertà

La libertà è una cosa bellissima.
Peccato l'abbiano messa in mano alla gente.

18 febbraio 2010

Alta Fedeltà

L'Osservatore Romano, organo di stampa ufficiale del Vaticano, ha pubblicato una lista dei dieci migliori album rock (alcuni rock, altri proprio no).
Io mi sono immaginato il papa a cui per sbaglio è arrivato sul comodino Alta Fedeltà di Hornby. Visto il titolo ha pensato fosse un testo religioso. Un saggio sulle vocazioni cattoliche nell'Inghilterra protestante o qualcosa del genere. Però sfogliando le prime pagine si è subito accorto dell'equivoco e l'ha rimesso sul comodino. Dopo qualche giorno, preso dalla curiosità, ha riniziato a leggerlo. Prima qualche pagina alla volta, poi tutto d'un fiato. Alla fine ne è rimasto così colpito che ha iniziato a fare liste a tutto spiano. Solo che essendo il papa, quindi un po' egocentrico, invece che top five, sono diventate top ten.
E' andata veramente così?


17 febbraio 2010

Ethnikós Kípos


Ero ad Atene ormai da qualche settimana per un progetto di scambio culturale. Avrei dovuto restarci almeno un altro mese. La città mi piace, malgrado il caos e l'inquinamento. Soprattutto, quando ho bisogno di rilassare i nervi, mi piace passeggiare per i giardini nazionali, quelli tra il parlamento e lo stadio Panathinaiko.
Sotto un tiepido sole invernale che illumina il cielo completamente azzurro, cammino, assorto nei miei pensieri, in un vialetto dei giardini coperto da un pergolato, che sfocia in uno spiazzo dominato da un imponente albero. Vicino all'albero, con una macchina fotografica in mano, c'è una ragazza. Due cose attirano la mia attenzione. I suoi occhi azzurri e il fatto che stia fotografando qualcosa sulla corteccia. Senza rendermene conto mi metto a fissarla. Dopo qualche secondo se ne accorge e si gira verso di me con faccia interrogativa. Invece di distogliere lo sguardo ed andarmene, mi avvicino e le chiedo cosa stia fotografando. Lei sorride e mi mostra una specie di buco rettangolare, largo una spanna e profondo due dita, nella corteccia. Non capisco, ma annuisco.
Si chiama Laura ed è di Barcellona. E' in città con degli amici che sono andati a vedere l'Acropoli, ma lei mi dice che è qui perchè preferisce gli alberi a quell'ammasso di pietre. Ci incamminiamo per i giardini e scambiamo quattro chiacchere tra una sua foto ad un albero ed un'altra ad un cestino. E' simpatica. Strana e simpatica. Parlare con lei è divertente anche se la maggior parte delle cose che diciamo non ha molto senso. Lei dice che vorrebbe essere un albero ed io le rispondo che anche a me non dispiacerebbe, ma sole se potessi avere una connessione internet.
Atene è senza dubbio la città in cui sono stato che ha più poliziotti per le strade. E ce ne sono anche nei giardini. Un'altra cosa che caratterizza Atene sono gli aranci disseminati per la città, spesso a fare da contorno ai marciapiedi di alcune strade. Pure per gli aranci vale il fatto che ce ne sono anche nei giardini. Le faccio notare queste due cose e lei risponde:
- E' ovvio. I poliziotti non sono poliziotti, ma guardie. Controllano gli aranci. E' severamente proibito raccoglierne le arance. Pena l'arresto. Ad Atene c'è una prigione speciale dove rinchiudono tutti quelli che sono stati sorpresi a commettere questo infamante reato.
Lo dice annuendo, con una faccia grave, come se stesse dicendo una scomoda verità. Io la guardo e sorrido, annuendo a mia volta e pensando a quanta fantasia abbia questa ragazza. Per continuare lo scherzo, le rispondo:
- Non te l'ho detto ancora, ma io sono un pericoloso criminale. Sono venuto fino ad Atene per portare a termine un crimine efferato.
Lei mi guarda stupita mentre mi dirigo circospetto verso uno degli aranci. Le faccio cenno di rimanere in silenzio. La scenetta mi viene piuttosto bene, ma per chiuderla in bellezza decido di cogliere una delle arance. Faccio per porgergliela, quando da dietro un cespuglio balza fuori un agente in tenuta antisommossa con la pistola spianata. Me la punta contro. Io faccio un balzo indietro di qualche metro per lo spavento. L'arancia mi casca di mano. L'agente mi dice di non muovermi se non voglio che mi spari. Sgommando nella ghiaia del vialetto arriva una volante della polizia. Due agenti escono fuori di corsa e mi sbattono a terra. Prima che me ne accorga mi ritrovo ammanettato. Mi tirano su a forza e fanno per portarmi dentro la macchina. Non ci sto capendo niente. Sono sorpreso e spaventato. Mi giro verso Laura, prima che mi spingano dentro l'auto della polizia. Ha uno sguardo severo. Sento che dice:
- Arrestatelo è un pericoloso criminale.

16 febbraio 2010

Plaka


Ho conosciuto Mélanie tre giorni fa. Entrambi siamo ad Atene per un seminario che è finito stamattina. E' francese e me ne sono innamorato. Non del fatto che sia francese. Di lei indipendentemente dal paese di provenienza. E' stata lei a venire da me il primo giorno del seminario, durante il pranzo. O meglio, si è avvicinata a me e ad un mio collega mentre stavamo parlando in francese. Io stentatamente. Non conosceva nessuno e la lingua familiare le ha fatto prendere coraggio. Era la prima volta che frequentava questo tipo di seminari, che si svolgevano a cadenze regolari in diverse città europee. Da quel momento ci siamo seduti sempre uno vicino all'altra, sia al seminario che sul bus, noleggiato dagli organizzatori, che ci riportava in albergo.
Non abbiamo scambiato molte parole in questi giorni. Sia io che lei siamo di poche parole. Non so cosa mi abbia fatto innamorare di lei. E' carina. Non una bellezza abbagliante o sconvolgente. E' carina. Una ragazza acqua e sapone. Forse il suo sorriso, che mi è piaciuto da subito, malgrado qualche dente storto. Forse e soprattutto i suoi occhi, di un colore che non saprei descrivere e che non avevo mai visto prima. E il suo sguardo sempre perso nel vuoto, assorta nei pensieri. Per non parlare dello zainetto rosso che sembrava più adatto ad una studentessa del liceo che ad una neolaureata.
Oggi, finito il seminario, abbiamo passato il nostro ultimo pomeriggio ad Atene a passeggiare insieme per Plaka, il caratteristico quartiere vecchio della capitale greca. Ci siamo persi innumerevoli volte nel dedalo di vicoli, stradine e scale, osservando le casette che s'arrampicano sul lato est dell'Acropoli. Domani ognuno prenderà il proprio aereo e non è detto che ci sarà una prossima volta in cui ci potremmo vedere.
E' un po' un'ultima cena quella che stiamo per consumare ad un tavolo all'aperto di un ristorante vicino alla fermata della metro di Monastiraki. Mentre aspettiamo gli antipasti che abbiamo ordinato, degli involtini di riso e carne avvolti in foglie di vite, scherziamo sul logo stilizzato del ristorante sulla tovaglia di carta e su cosa potrebbe rappresentare. Lei tira fuori una penna e disegna un omino stilizzato utilizzando come torso una elle del nome del ristorante. I capelli sembrano una cresta e allora  trasforma l'omino in un punk. Le dico che la tovaglia di carta me la porterò a casa io, cascasse il mondo. 
La guardo e le sorrido. Tra poco dovrò dirle addio, ma non sono triste. Non ancora almeno.

15 febbraio 2010

Akropolis


Era una fredda mattina di fine gennaio ad Atene. Una pioggia fine ma insistente la stava bagnando da diverse ore. Un silenzio assoluto sembrava regnare sulla città vista da una deserta Acropoli, spazzata da un vento gelido proveniente da Nord. Un rigido coprifuoco vigeva sulla città da ormai una settimana. Da quando era iniziato l'assedio. Coprifuoco destinato a finire dato che, viste le forze allo stremo, Atene era capitolata la notte precedente, ma nessun cittadino sembrava ancora aver intenzione di togliere le barricate dalla propria casa ed uscire.
Il settimo reggimento era entrato in città alle prime luci dell'alba. Ciascun battaglione veniva indirizzato ad impossessarsi dei luoghi chiave. Il battaglione guidato dal colonnello di reggimento salì verso l'Acropoli. 
I tamburi scandivano ogni passo fatto dai trecento soldati, vestiti con i tipici pantaloni bianchi e il cappello a punta, ugualmente bianco. Vederli salire la scalinata antistante i propilei sarebbe potuto essere memorabile, ma non ci fu alcun testimone alla scena. Alcuni cappelli volarono per aria quando i soldati si trovarono davanti il Partenone. Il colonnello, che portava un'uniforme rossa per distinguersi dai soldati semplici, richiamò l'ordine e disse al portabandiera di preparare il vessillo. I soldati si disposero sotto il pennone che reggeva la bandiera greca. I due incaricati l'ammainarono mentre il portabandiera tirava fuori la bandiera blu con striscia centrale bianca. Tutti si misero sull'attenti mentre la bandiera saliva. Dopo pochi secondi, il simbolo degli invasori sventolava già su Atene. Ma non era abbastanza. Per sancire inequivocabilmente la vittoria della battaglia avrebbero dovuto far loro il simbolo della città. Quindi, incuranti del valore storico, il Partenone durante la notte sarebbe stato dipinto di blu.
La mattina seguente il mondo avrebbe saputo che i Puffi avevano conquistato Atene.

14 febbraio 2010

Syntagma


E' sera e la piazza è gremita di gente. Brulica. Persone sui marciapiedi delle strade che la circondano. Persone intorno alla fontana al centro della piazza e sotto gli alberi che si trovano ai suoi lati. Persone nei caratteristici caffè all'aperto. Turisti ed autoctoni. Autoctoni e turisti.
In un angolo vedo una cabina telefonica. So quello che devo fare. Ci entro e compongo il 112.
- C'è una bomba in Syntagma Square. E' avvolta in una carta da pacchi marrone. Esploderà fra mezz'ora. - dico alla cornetta e riattacco immediatamente.
A questo punto non mi rimane che aspettare il corso degli eventi.  Mi metto a sedere in un caffè della piazza ed ordino un succo d'arancia. Passano pochi minuti ed inizio a vedere alcuni poliziotti che si aggirano per la piazza. S'iniziano a sentire anche le prime sirene in lontananza. Le sirene si moltiplicano con il passare dei secondi ed una moderata agitazione si diffonde. Pago, mi alzo e mi dirigo verso la parte bassa della piazza.
Le strade di accesso sono bloccate da volanti della polizia che impediscono alle auto ed ai pedoni di passare. Molti degli astanti sono impegnati in fitte conversazioni tra di loro o con faccia interrogativa si rivolgono alle forze dell'ordine. Si sta formando un cordone di sicurezza intorno alla piazza. Proprio mentre sto per attraversarlo, i poliziotti che perlustravano la piazza iniziano a fare ampi gesti alla gente. Stanno dicendo alla gente di allontanarsi.
Tutto si svolge con ottima coordinazione e nessuno si fa prendere dal panico. Non pare neanche di essere in un paese del sud dell'Europa. Sembra quasi che siano abituati a situazioni del genere. In pochi minuti la piazza è completamente sgombra.
Io mi trovo all'imbocco della strada pedonale che si dirige verso Monastiraki e guardo verso Syntagma. Quello che vedo è esattamente come me lo aspettavo. La piazza senza un'anima viva, gli alberi che fanno da cornice e il palazzo del parlamento sullo sfondo in cima alla scalinata. Il suo color oro spento è illuminato dalla luna che lo sovrasta. Gli zampilli d'acqua della fontana sono l'unica cosa che si muove al di là del cordone di polizia.
Tutto è perfetto. Tiro fuori la macchina fotografica, inquadro la scena e scatto una foto. Poi, soddisfatto, mi volto e m'incammino sulla strada pedonale, lasciandomi la piazza alle spalle.

11 febbraio 2010

CCISS Viaggiare Informati

Non so se a qualcuno sia mai capitato di ascoltare il CCISS viaggiare informati.
Una delle speaker è Alessandra delle Monache dell'ACI.
La domanda che mi sono sempre fatto è:
di che diavolo di congregazione fanno parte le monache dell'ACI?


9 febbraio 2010

Caramelle

Un'altra giornata di caccia è passata. Il precario equilibrio giornaliero tra il cercare di sfuggire ai grandi predatori carnivori e la ricerca di cibo è salvo per la prossima manciata di ore. Attraverso la radura che dalla foresta porta fino al torrente che dovrò guadare. E' illuminata di sfuggita da un sole calante. E mentre attraverso la radura penso. Penso alla precarietà della vita, al senso di questo giornaliero ripetersi dei soliti gesti. Penso al fatto che a fine mese dovrò pagare l'affitto di quel buco che ostinatamente chiamiamo casa. Affitto che non fa che aumentare. Il mio vicino Ug dice che è colpa della crisi. Dice anche di aver sentito dire da alcuni suoi parenti che vivono sul versante occidentale che siamo in un periodo di raffreddamento globale.
- Vedrai se non stiamo andando incontro ad una nuova glaciazione - ha detto.
Nuova. Come se avessimo mai vissuto una glaciazione. Sono solo parole che si tramandano di generazione in generazione quelle di una passata glaciazione. Non sono neanche sicuro che faccia effettivamente più freddo che in passato o se non sia altro che suggestione collettiva. Penso alla mia compagna Ur che mi attende accanto al fuoco acceso, speranzosa di vedermi tornare. Di vedermi tornare con del cibo. Penso ad un modo per far fuori gli scarafaggi che infestano la caverna. Non so come mai ma mi viene in mente di schiacciarli con delle pietre rotolanti. L'acqua gelata del torrente in piena mi arriva al ginocchio e fa volatilizzare i miei pensieri. Mi godo gli ultimi raggi di sole. In silenzio. Non che prima stessi parlando. Nel silenzio della mia mente.
Quando sono ormai dall'altra parte del guado vedo dei piccoli oggetti sferici che danzano nell'aria ad altezza d'uomo. Gli occhi mi si illuminano di gioia. Sono eventi come questo che mi riconciliano con il mondo. Inaspettati, come devono essere i piccoli piaceri che la vita riserva. Poso la clava ed il sacco di pelle che contiene il bottino della caccia odierna e mi avvicino ad una di loro. Pregustando nella mia mente il dolce sapore mi metto a fissare il suo fluttuare a mezz'aria per qualche secondo e poi apro la bocca e la metto tra i denti. Come ho imparato da tempo, la cosa migliore non è inghiottirla subito, ma farla sciogliere lentamente nella bocca, cosicchè il suo gusto mi accompagni per tutta l'ultima parte del tragitto fino alla caverna.
Adoro le caramelle al gusto di pterodattilo.

Hey man! Look at me rockin' out, I'm on the video

Il racconto Il catcher su Microcenturie


6 febbraio 2010

I promessi sposi in dieci minuti

by oblivion



Lucia non perderti d'animo!
Lucia non perderti d'animo!
Lucia non perderti d'animo!

1 febbraio 2010

Intervallo